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252 il vecchio servo


dell’amica e si sentì battere il cuore. S’alzò e s’avvicinò anch’egli alla porta.

— Buona notte, Testa di pietra; donde vieni? Che contiene quel sacco?

— Erba, — rispose l’altro.

— Ah, erba? — riprese il vecchio con voce bassa ma un po’ anelante. — Mi sembra troppo pesante, per essere erba. Fammi toccare. È duro: qui dentro c’è una bisaccia colma: la bisaccia che hai rubato al mio padrone. Senti, sei stato ben vile; lo hai derubato perchè sapevi che era solo. Ma i carabinieri ti cercano.

Mentre egli parlava, Testa di pietra aveva deposto il sacco per terra: era un giovinotto basso, bruno, con una corta barba nera e il naso rincagnato: pareva un negro. Alle ultime parole del vecchio rinculò e senza aprir bocca si volse e scappò. I suoi passi risuonarono come quelli d’un cavallo in fuga.

Allora zio Sidru battè alla porta, e quando la sua amica aprì egli sollevò il sacco e lo mise dentro.

— Senti, — disse, — prima di conoscer te io avevo mangiato il pane ai miei padroni: per te, qualche volta li ho traditi, ma ora basta. Ho aperto gli occhi. Vado subito a denunziare tuo figlio.