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i giuochi della vita 213


— Non ho niente, — diss’ella con voce aspra. Il vecchio trasalì e si allontanò.

La gente se ne andava: sulla loggia vuota imperavano i numeri neri; sul muro giallo del cortile l’eucaliptus immobile nell’aria queta si coloriva d’un color rosa melanconico; il cielo rasserenavasi. A poco a poco il grande cortile verdognolo rimase vuoto, e Carina si trovò sola nei corridoi, ove l’immondo passaggio della folla aveva lasciato la sua impronta di sputi, il fumo del tabacco ordinario, l’odore nauseante degli stracci e delle scarpe fracide.

Qualche persona s’affacciava ancora alla porta per osservare i numeri: due impiegati scesero di corsa le scale, saltarono la finestra del corridoio per uscir più presto nel cortile e guardarono i numeri; entrò una guardia municipale, guardò e bestemmiò; entrò un soldato, guardò e rise; entrò una donnina bionda, a capo scoperto, con una vecchia pelliccia di Mongolia, guardò i numeri, poi vide Carina dietro l’ invetriata e salutò. Era la vecchia elegante Lucia.

Carina le fece cenno d’entrare e la mandò su.

— Chiama un usciere e digli di avvertire il signor Calzi che c’è una signora che lo aspetta: bada che non ti veda il padrone.