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176 i giuochi della vita


del belvedere, qualche foglia gialla volteggiava per l’aria fresca, cadendo silenziosa sui viali chiari. Sembrava un giardino incantato e ignoto, raccolto nel seno della città; una perla giallognola nel cavo d’una conchiglia canora.

Quel giardino era la gioia e lo spasimo di Carina, che lo desiderava ardentemente e lo possedeva solo con lo sguardo. Tranne i giardinieri, ella non vedeva mai nessuno attraversare i viali gialli di sole o di luna, sempre pieni di sogni e di canti d’uccelli; e rassomigliava quel luogo ad un tesoro custodito da un drago maligno, che non lo godeva e proibiva agli altri di goderlo.

Oh, scendere laggiù, nel perlato mattino d’autunno, godere la fragranza delle foglie morenti, la visione aperta del cielo brillante attraverso gli alberi d’oro: abbracciare, nella gioia del puro mattino, le vecchie statue corrose dal tempo e dalla loro stessa inutilità, gridare con l’allodola, scuotere i rami stillanti acqua e foglie morte di noia; dar vita al luogo, prender vita dal luogo magnifico e vano!

Chi le impediva di far ciò?

Qual drago stupido custodiva i cancelli, e gliene proibiva l’ingresso?

Pensò ai giardinetti aperti al pubblico ove