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egli stringeva nella sua la mano sottile di lei. Erano entrambi vestiti benino, ma con abiti ancora estivi: Goulliau aveva un’aria d’artista, i capelli lunghi ed il cappello a cencio: la moglie era alquanto più alta di lui, con un piccolo viso nerastro circondato da un grande arruffìo di capelli nerissimi sbuffanti sotto la paglietta nera guarnita di una piuma d’avoltoio.

Il giovine raccontava un sogno fatto la notte prima:

— Mi pareva che l’editore avesse risposto: accettava La Primavera e ci dava mille lire, ma voleva la proprietà assoluta, e voleva pubblicare il volume col tuo solo nome di signorina, perchè altrimenti, diceva, il romanzo sarebbe parso una traduzione.

— È un sogno o te lo sei immaginato tu? — domandò Carina con voce distratta.

— E me lo sia immaginato io! Tu non credi neppure ai sogni!

— Ci sono dei sogni così curiosi! — diss’ella animandosi; — anch’io ne ho fatti tanti, tanti che ora non ci credo più. Non importa: stasera sono di malumore, non badarci. Dopo tutto, di fame non morremo.

Tacque un momento, poi riprese: