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48 | grazia deledda |
fatto di quindici materassi: ed erano materassi di lana morbida, altri di piume di cigno, altri, sai Giaffà? di quella peluria delle canne.
Giaffà, a dire il vero, non ricordava la peluria, ma soltanto le canne con cui aveva sempre battagliato con i suoi indimenticabili amici della strada.
— La bella Torí-li dormiva e il fidanzato, ascolta, mise una fava sotto l’ultimo materasso e fuggí. Io, Giaffà mio, non ti so raccontare che notte tremenda passò la fanciulla: smaniava, accendeva la lanterna, la spegneva, la ruppe, si appoggiava sui gomiti, si abbatteva sui cuscini, e quasi stava per morire, tanto la sua pelle era fine che sotto quindici meravigliosi materassi sentiva e la pungeva una fava. Pensa che tipo, Giaffà mio! Addio! saluta tua madre e dille che le voglio molto bene.
Quali sono le madri che non si vogliono bene fra di loro?
Ma Giaffà non andava tanto per il sottile, cari miei. E vi dirò subito che tirati fuori i suoi vecchi panni, se ne vestí, gettò all’aria tutti i cinquanta vestiti che gli avevano preparati e profumati di odor di sandalo, e, in silenzio, dopo aver baciato