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32 | grazia deledda |
— Tu sei una lodevole creatura: però abbondi di riso. —
Giaffà questa volta rimase pensieroso: non sapeva dire bugie: e stava per rispondere che egli non abbondava di riso. Ma Padre Aristodemo si era già allontanato lungo il portico. Giaffà rimase un po ’ triste poi pensò:
— Giacché ha detto cosí, farò vedere a quel mio signor padrone santo, che è vero. —
Voi sapete, ragazzi, che in Gina, il cibo usuale è il riso e che quegli abitanti lo mangiano con due bacchettine in una maniera molto abile: è come da noi il pane. Con la differenza che da noi c’è anche il companatico e là, poveretti, il companatico se lo sognano nel regno celeste di Confucio. Dunque, non lamentatevi.
A notte, mentre tutti dormivano, Giaffà, a piedi nudi scese e spalancò la porta. Vicino c’era un deposito di riso: e Giaffà che era tanto forte quanto ingenuo, incominciò a rubarne ceste di un quintale l’una e a portarle nel cortile del convento: quando, sudato, con le membra rotte, ne ebbe collocate ben sessanta in due file, e già sorgeva l’alba, andò a letto sicurissimo del compiacimento del Signore.