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104 grazia deledda


Arrivato ansando di corsa a casa sua si toccò il corpo con la speranza che quella corsa lo avesse liberato dalle sembianze di Agara. Il cane che mansueto e dagli occhi dolci non abbaiava a nessuno fuorché a quel maligno di Agara, gli abbaiò contro. E allora Giaffà non ebbe più nessun dubbio d’essere diventato Agara, pur ricordandosi vagamente d’essere stato Giaffà, quello che aveva corso il pericolo di sposare l’amorosa e terribile figlia del Gran Mandarino. Nel tentare il saliscendi era tale il suo orgasmo che non riuscì a farlo funzionare:

— Per forza — disse fra sé — non riesco ad aprirlo: non ho la chiave perché questa è la casa di Giaffà. —

E mentre le stelle, senza inganno e senza sbagli, come accade negli uomini, giravano lentamente nel cielo, il nostro disperato scivolò a terra, proprio con la schiena appoggiata alla sua porta e prese il sonno del giusto che alla fine chiude gli occhi sulle cose che non si capiscono.

* * *

Fece un sogno, ragazzi miei. Sognò d’andare furtivamente lungo un muro con una cancellata