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102 grazia deledda


fante bianco un coreano svelto, ben fatto di membra, dagli occhi piccoli e neri come quelli di un topo.

«Eccolo là Agara», disse fra sé Giaffà sussultando. «Voglio un po’ vedere se con una scarica di pugni riesco a capire se io sono io, o se sono lui» e gli si avvicinò. L’altro prendendo la rincorsa gli gridò:

— Ti saluto Agara. Perché oggi non sei venuto a mangiare nella nostra trattoria? Vieni stasera. Ti voglio bene! —

Poi scattando velocissimo nelle gambe si attaccò a un carrozzino signorile, tirato da quattro cavalli rossi, che andava come quattro saette. La distanza era troppo grande perché Giaffà, che pure aveva ali ai piedi, potesse raggiungerlo.

Allora il nostro amico si mise a sedere sotto un tiglio e guardandosi ora l’indice della mano destra, ora quello della sinistra sussurrava:

— Son Giaffà, o non Giaffà? —

Sembrava Amleto, principe di Danimarca. Dopo aver girovagato per i giardini profumati e allietati dall’incedere maestoso dei pavoni o dal superbo remigare dei cigni nei laghetti, Giaffà pensò verso sera d’andare a ricercare una vecchia