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98 grazia deledda


Si-moi lo guardò seriamente, quasi con tristezza e gli toccò una spalla fingendo d’accertarsi di non avere davanti a sé un amico improvvisamente impazzito.

— Vedo — disse con dolcezza — che hai voglia di litigare, mio Agara. Perciò me ne vado perché mi dispiacerebbe guastarmi il sangue con il mio amico piú intimo, con il quale ho fatto le scuole insieme, (o meglio, pensa chi scrive, marinate le scuole insieme) cosí stretti dal vincolo delle nostre famiglie che abitano vicino e si vogliono bene. Addio, Agara. —

E se ne andò lungo il fiume solcato da giunche con le vele di vegetale membranoso simili alle ali dei pipistrelli.

— Oh! — pensò tra sé Giaffà — io conosco lo spirito di quel maleducato. E sarà meglio che io vada giù verso quel canneto per vedere se trovo una buona canna da pesca che cerco da venti giorni. —

Non aveva fatto però altrettanti venti metri che passò su un carrozzino di vimini tirato da uno schiavo, l’amico ricco e sapiente di Giaffà, quello che gli aveva insegnato il giuoco degli scacchi.

— Addio, Agara! — fece salutandolo graziosa-