Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/93


— 87 —

selvatiche. Solo sotto gli alberi e nelle distese umide l’erba restava verde e fresca. La tanca, sebbene piana e senza bosco, aveva recessi secreti, roccie e macchie; il corso d’acqua in certi punti scorreva fra boschetti di sambuchi, dove il sole appena penetrava, formando laghetti verdi e misteriosi, circondati e tramezzati di roccie, sulle quali l’acqua infrangevasi mormorando. Lungo le rive, per largo tratto, la vegetazione si conservava fresca e morbida: di notte l’odore dei giunchi e delle mente era quasi irritante. La greggia discretamente numerosa dei Portolu pascolava nella tanca; le pecore erano grosse per il lungo vello intricato, gli agnelli grandi e grassi. Fra due o tre giorni dovevasi tosare la greggia. Elias si sentiva fisicamente bene in quel luogo solitario e selvaggiamente bello, dove era cresciuto, dove era scorsa la sua prima giovinezza: giorno per giorno rivedeva e riconosceva ogni angolo, ogni recesso della tanca.

I cani, uno grosso e nero, con occhi selvaggi, olimpicamente posato sotto l’albero al quale era incatenato, e l’altro piccolo, col pelo irto rossigno, simile a un porchetto, avevano riconosciuto Elias; ed egli aveva quasi pianto accarezzandoli.