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data ad Elias. Era notte; le lampade oscillavano davanti all’altare, spandendo ombre e luci tremule nella chiesa deserta: il gran Santo, cupo, pareva assopito tra i suoi fiori d’ogni mese. Zia Annedda s’inginocchiò, poi sedette in fondo alla chiesa, pregando. Il suo pensiero era sempre rivolto ad Elias: le pareva già di vedere il figliuolo sacerdote, le sembrava già di ricevere i doni di frumento, le anforette di vino turate con fiori, le torte e i gattòs1 che gli amici avrebbero regalato al prete novello.

Mentre così sognava e pregava, vide entrar Maddalena. La giovinetta veniva a cercarla, le si accostò e le sedette accanto.

— Ah, siete qui! — disse. — Vi cercavamo, ma io ho pensato subito ch’eravate qui.

— Verrò fra poco.

— Resto qui anch’io un poco.

Tacquero. Dal cortile arrivavano confusi rumori, canti e melodie melanconiche, vibranti nella notte pura. Una voce armoniosa di tenore cantava in lontananza, tra il coro triste e cadenzato dell’accompagnamento vocale dei canti nuoresi. E quei canti nostalgici e sonori che parevano impregnati della

  1. Dolce nuorese di mandorle, zucchero e miele.