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grande solitudine di montagna così improvvisamente animata. E invero pareva che una tribù errante fosse venuta di lontano per dare l’assalto a quel piccolo villaggio disabitato. Le porticine s’aprivano, le tettoie risuonavano di grida e di risate.

Elias aiutò tranquillamente sua madre a smontare, poi smontò egli stesso, legò la cavalla e si caricò sulle spalle, una dopo l’altra, le colme bisaccie che contenevano provviste e coperte. E i Portolu, come tutti gli altri della tribù dei fondatori della chiesa, presero posto nella cumbissia maggiore. È questa cumbissia una lunghissima stanza, semibuia, rozzamente selciata, col sotto-tetto di canne. Di tratto in tratto, infisso al suolo, c’è un focolare di pietra, e sulle rozze pareti un grosso piuolo. Ognuno di questi piuoli indica il posto ereditario delle famiglie discendenti dai fondatori.

I Portolu presero possesso del loro chiodo e del loro focolare in fondo alla cumbissia, che in vero quell’anno non era molto animata. Solo sei famiglie l’abitavano, il resto dei novenanti era gente non appartenente alla tribù, e quindi abitava le altre numerose stanzette.