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donne che cavalcavano da sole, donne a piedi, fanciulli, carri, cani. Ciascuno però viaggiava per conto suo, chi più in là, chi più in qua della strada.
Elias, con zia Annedda in groppa ad una mansueta cavalla balzana, era fra gli ultimi: un puledrino, figlio della cavalla, poco più grande d’un cane, li seguiva da vicino.
Era un mattino bellissimo. Le forti montagne verso cui si viaggiava sorgevano azzurre sul cielo ancora acceso delle fiamme violacee dell’aurora. La valle selvaggia dell’Isalle era coperta di erbe e di fiori; sul sentiero roccioso spiovevano, come grandi lampade accese, le ginestre d’oro giallo. Il fresco Orthobene, colorato del verde dei boschi, dell’oro delle ginestre, del rosso fiore del musco, si allontanava alle spalle dei viandanti, sullo sfondo perlato dell’orizzonte. D’un tratto la valle s’aprì: apparvero solitarie pianure coperte di messi ancor tenere, brillanti di rugiada, che sotto i raggi del sole non ancora alto, avevano un luminoso fluttuare di argento. I prati coperti di papaveri, di timo, di margherite, esalavano irritanti profumi.
Ma i viandanti dovevano salire le montagne e lasciarono di fianco le pianure conducenti