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di una straziante sofferenza. Pareva il viso d’un vecchietto moribondo.
Elias non osò toccarlo nè baciarlo, preso tutto da un improvviso stupore. Come davanti al cadavere del fratello Pietro ebbe la visione della morte, e s’accorse che sino a quel momento gli era parso impossibile che Berte morisse. Invece moriva. Perchè moriva? Come moriva? Che cosa era la morte? La fine di ogni cosa, di ogni passione? E allora perchè egli odiava il Farre? Perchè soffriva?
“Figlio mio, piccolo figlio mio„ gemette fra sè “tu muori ed io non ti ho amato, ed io, invece di amarti, di curarti, di strapparti alla morte, mi sono perduto in un vano rancore, in una vana gelosia.... Ed ora tutto finisce, e non c’è più tempo, non c’è più tempo a nulla....
Lo assalì un impetuoso desiderio di prendere tra le braccia il piccino, di portarselo via, di salvarlo. Salvarlo? Come? Non sapeva come, ma gli pareva che bastasse stendere le braccia, protendere la sua persona sul corpicciuolo del bimbo, per tener lontana la morte. In quel punto entrò il Farre e s’avvicinò lentamente al letto: Elias sentì il grave passo, l’alito ansante, e instintivamente s’allontanò.
Il Farre riprese il suo posto; e ancora una