Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/225


— 219 —

dimenticava un istante, quel mostro gli sussurrava parole di gioia, gli dava desideri colpevoli, mostrandogli di continuo l’immagine del fratello morto, sepolto?

— È il demonio, — pensò una sera, — ma non vincerà, no, non vincerà mai più! Ebbene, che Pietro muoia, se egli deve morire; sì, per quanto ciò sia orribile, Satana, io adesso desidero la morte di mio fratello per dimostrarti che tu non vincerai su di me. Mai più! mal più! Sono più forte di te, Satana; il mio corpo è debole e tu potrai spezzarlo, ma l’anima mia non la vincerai mai più.

Quella notte Pietro morì. Elias gli chiuse gli occhi, gli fece il segno della croce sul viso, aiutò zia Annedda a lavare e rivestire il cadavere.

Poi vegliò tutta la notte presso il fratello morto. Ogni tanto s’alzava, gli si chinava sul viso, e lo guardava a lungo, con la folle speranza che non fosse morto, o avesse da un momento all’altro a muoversi e risorgere.

Ma il volto barbuto e livido, con le palpebre abbassate, restava immoto come una paurosa maschera di bronzo. Elias sentiva, forse per la prima volta in vita sua — giacchè non aveva mai veduto così da vicino e così a