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— No.
— Sì, — dissero le donne.
— Mia madre non vuole.
— Balliamo il ballo sardo.
E le tre donne balzarono avanti con gioia, correndo verso il punto ove si ballava al suono della fisarmonica. Un circolo di gente, paesani, monelli, operai, quasi tutte faccie pallide e brutte, intente, insolenti, circondava alcune coppie di maschere che ballavano urtandosi e ridendo.
Un uomo, vestito da donna, col viso rosso barbuto, con la maschera rigettata all’indietro sul collo, suonava dandosi una grave importanza, con gli occhi fissi sui tasti della fisarmonica. Era una polka suonata con abbastanza maestria, ma triste, melanconica come una musica d’organetto.
Le nostre maschere ruppero il circolo dei curiosi e penetrarono nello spazio ove si ballava, mentre alcune coppie si fermavano ansanti, stanche ma non sazie di piacere. Nessuno protestò contro i nuovi venuti; anzi subito un uomo vestito da frate, col volto tinto di giallo, invitò al ballo una delle nostre mascherine che accettò senza tanti complimenti. Elias si trovò a fianco di Maddalena; fremeva