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notti odorose lo annientavano e gli davano la febbre.

Nella sua tristezza egli aveva posto odio agli uomini; anche suo padre e Mattia lo disgustavano, e quindi li fuggiva, vagava tutto il giorno attraverso la gialla e ardente solitudine della tanca, e passava le notti all’aperto.

Se dormiva al meriggio, dopo aver letto e riletto i suoi libri santi, si svegliava con la testa cerchiata da un grave dolore; e poi di notte non poteva dormire. Allora restava a lungo nei suoi nascondigli, accoccolato sulle pietre, guardando il tramonto della luna sui boschi, o immerso in un’atonia dolorosa. Zio Portolu, la vecchia volpe, vedeva benissimo lo stato d’animo e di corpo del figliuolo, senza riuscire a indovinarne la causa, e se ne accorava, e sgridava acerbamente Elias nei pochi momenti che restavano insieme.

— Perchè ti nascondi? — gli urlava. — Che vita è questa! Se mediti un delitto, còmpilo e sia finita; se sei innamorato, appiccati. Uomo sei tu? Un fuscello sei, una statuetta di cacio di vacca! Non vedi che non puoi stare in gambe, e che il tuo viso è verde come una rana?