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viottolo e mise la testa entro il portone di zia Annedda.
— Eccoli, son qui! — gridò.
La donnina uscì fuori, più bianca del solito e tremante; subito dopo un gruppo di paesani irruppe nel viottolo, ed Elias, assai commosso, corse da sua madre, si curvò e l’abbracciò.
— Fra cento anni un’altra, fra cento anni un’altra.... — mormorava zia Annedda piangendo.
Elias era alto e snello, col volto bianchissimo, delicato, sbarbato; aveva i capelli neri rasati, gli occhi azzurri-verdognoli. La lunga prigionia aveva reso candide le sue mani e la sua faccia.
Tutte le vicine si affollarono intorno a lui, respingendo gli altri paesani, e gli strinsero la mano, augurandogli:
— Un’altra disgrazia simile fra cento anni.
— Dio voglia! — egli rispondeva.
Dopo di che entrarono in casa. Il gatto, che all’avvicinarsi dei paesani s’era ritirato dalla finestra, venuto alla scaletta esterna saltò giù spaventato, corse di qua e di là e andò a nascondersi.
— Muscì, muscì, — cominciò a gridare zio Portolu, — che diavolo hai, non hai veduto