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con una scala erta, le camere vaste dai pavimenti di legno, le finestre piccole, le pareti imbiancate con la calce; Enza ci si immelanconì e si strapazzò a pulirla e renderla abitabile, aiutata solo da una donna a mezzo servizio. Presto cominciarono i guai. Gioanmario, entrato nello studio di un avvocato, vi rimaneva tutto il giorno, e ancora senza compenso. Il dover vivere con la piccola rendita della moglie lo umiliava e lo esasperava. Provocato dal malumore di lei cominciò a rinfacciarle la fretta di essersi voluta sposare: ella rispondeva aspra: litigi violenti scoppiavano fra di loro, seguiti da riconciliazioni che duravano poco, da fughe di lui che rimaneva assente il più possibile. Una triste mattina, la donna che andava da loro per i servizi, corse spaventata a casa dei parenti, dicendo che aveva trovato la piccola padrona stesa a letto senza sensi, fredda come una morta. L’aveva fatta rinvenire; ma temeva che la cosa fosse grave. La signora Francesca era sofferente anch’essa, per un male alle reni, e le ragazze giudicarono di non spaventarla con le notizie di Enza. Cosima, che spesso andava dai giovani sposi ed era al corrente della loro disordinata e dolorosa vita, corse lei con la speranza che si trattasse di uno dei soliti disturbi nervosi della sorella. La trovò insolitamente calma, troppo calma, abbandonata sul letto pallidissima, coi grandi occhi spauriti. Non parlava, non si moveva; ma un odore sgradevole e caldo esalava dal