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IV

L’estate era certamente stagione più felice. C’erano giornate caldissime, ma era un caldo fermo, quasi lucido, e l’azzurro del cielo, un po’ basso, sembrava quello dei quadri di Zuloaga. Qualche servo tornava dalla mietitura, abbrustolito come da un incendio, e si buttava, febbricitante di malaria, su una stuoia nell’angolo della tettoia: in cambio le donne che, all’ombra del cortile, spezzavano mucchi di mandorle che un incettatore veniva tutti gli anni a comprare, ridevano e cantavano stornelli paesani che facevano un contrasto ben curioso coi rondò preziosissimi recitati da Antonino nella camera di Santus. Erano gridi di passione, profonda e ardente come quel cielo sopra la terra bruciata dal sole: e chi, di quelle donne giovani e brune che non pensavano ad altro che all’amore, si lamentava di «vivere in mezzo alle spine, per un solo innamorato»: chi diceva all’amante: