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l’austerità dei costumi: non fumava, non beveva, non guardava le donne: studiava sempre, anche durante le vacanze.

Qualche volta veniva a cercarlo un suo compagno di studi; Antonino, si chiamava, un bellissimo giovane bruno dall’aria un po’ beffarda, vestito inappuntabilmente alla moda di allora, – cappellino di paglia con nastro di tulle e veletta all’estate, mantello azzurro d’inverno, drappeggiato con eleganza dannunziana, – (almeno così Antonino dava ad intendere, chiamando fraternamente col solo nome di Gabriele il giovanissimo poeta che aveva degnato di una sua visita il paese di Cosima).

Anche lui, Antonino, apparteneva ad una famiglia mista, fra borghese e paesana: la madre e le sorelle vestivano in costume, mentre lui e i fratelli, tutti studenti, avevano quasi un’aria aristocratica. Il padre, veramente, era esattore d’imposte, un uomo rude, taciturno, poco pratico della lingua italiana (come i maggiori signori del resto), di mirabile animo e nobiltà. Ben caratteristica era la loro abitazione, l’ultima del paese, costituita da fabbricati bassi che davano su un cortile chiuso, e dove, oltre la loro famiglia, vivevano altri parenti, con numerosi ragazzi: una specie di clan, ma di gente incivilita, anzi, intelligentissima. I ragazzi studiavano tutti, ed erano caustici, osservatori, beffardi. Una bella vigna che guardava sulla valle e