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36 | grazia deledda |
terreno, e nei momenti di lucidità vedeva il viso pallido della madre piegarsi sul suo e ne provava un senso di frescura come se una ninfea umida la sfiorasse: ma un giorno, il giorno di Sant’Antonio, grosse gocce di rugiada parvero cadere da quel fiore: era ardente, però, quella rugiada; e Cosima ne sentì anche il sapore salato: il sapore del più grande dolore che possa colpire una donna.
Venne una parente, per domandare come stavano le ragazze; entrando, per non dimostrare inquietudine, domandò con voce allegra:
— Oggi è la festa del padrone di casa: farete banchetto: dov’è il porcellino di latte?
— Il porcellino per la festa è su, in camera delle bambine, — disse la madre, con voce rauca.
E la parente andò a vedere: era morta Giovanna, la più bella di tutte le cinque sorelline.
Dopo la morte di Giovanna, l’umore della mamma cambiò. Era stata sempre seria; adesso diveniva melanconica, taciturna, chiusa in un mondo tutto suo; badava ai figli e alle cose domestiche, ma con una freddezza quasi meccanica, con scrupoli di un dovere dal quale non si aspetta nessun premio. Era giovane ancora, bella, ben fatta, sebbene di piccola statura; ma a volte sembrava vecchia, piegata, stanca. Forse il mistero della sua tristezza derivava dal fatto ch’ella si era sposata senza amore, ad un uomo di venti anni più vecchio di lei, che la circondava di cure, che viveva solo per