deva fino alla casa: e in quel chiarore la ragazza vide il muflone, che frugava qua e là in cerca di cibo: era una graziosa bestia, col pelo color rame lucidato dal freddo, gli occhi grandi e dolci scintillanti alla luna. Ella pensò: è certamente il suo spirito, che ha preso questa forma e viene a salutarmi prima di andarsene all’altro mondo. Scese al pian terreno e socchiuse la porta: la bestia, però, fuggì. Allora lei si mise il cappuccio e andò verso una muriccia sotto la china del monte: il muflone non tornava, ed ella si persuase che non era lo spirito. Rientrò in casa, e mise fuori della porta un canestro con fieno ed orzo: e poco dopo sentì il ruminare del muflone affamato. La notte dopo fu la stessa cosa. La terza notte ella lasciò la porta aperta e mise il canestro sulla soglia. Seduta accanto al focolare, vide la bestia avanzarsi, tornare indietro, avanzarsi ancora e mangiare. Alla quarta notte mise il canestro nell’interno della cucina, accanto alla porta spalancata: e la bestia si fece coraggio ed entrò. Così, un po’ alla volta, divennero amici; ed ella si affezionò talmente al suo protetto, che provò quasi sollievo alla sua pena. Lo aspettava tutte le notti, come un innamorato, e se esso tardava s’inquietava per lui. Non raccontava a nessuno l’avventura, per timore che qualcuno molestasse la bestia: la raccontò solo al fidanzato, quando tornò, guarito, in primavera; e Alessio, così si chiamava il giovine, divenne stranamente geloso. Ma il