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16 | grazia deledda |
crisia, si mostravano buoni e beneducati. Cosima, poi, sentiva per lui un senso sconfinato di confidenza e qualche volta anche di ammirazione. Non si preoccupò, quindi, nel vederlo apparire in alto, sul pianerottolo del primo piano, mentre ella saliva il secondo rampante delle scale.
Adesso gli scalini erano di lavagna, bene illuminati dalla finestra del pianerottolo: e questo era grande come una camera, con un armadio a muro ricoperto da una tendina di percalle, la macchina da cucire e alcune sedie; e vi si aprivano gli usci della camera matrimoniale e di un’altra che serviva anch’essa per gli ospiti, quando erano più di uno, il che avveniva spesso. Da questa camera, che era la meglio arredata della casa, con due finestre, una sulla strada l’altra sul cortile, il sofà e un tavolino rotondo intarsiato di legno bianco, usciva appunto in quel momento il signor Antonio, fermandosi ad origliare all’uscio della moglie. Nell’accorgersi della piccola Cosima le accennò di non far rumore: ed ella si fermò appoggiata alla parte della scala, intimidita ma non troppo. Il babbo era sopra di lei; le sembrava alto, quasi gigantesco, mentre invece era piccolo e un po’ grasso. Ma se le gambe erano corte, il busto era forte, grande, e la testa grossa, calva, con una ghirlandina di ricciolo già grigi che dalle orecchie rosee pendeva intorno alla nuca possente. E anche il viso sembrava a Cosima il più straordinario di tutti quelli che conosceva: un viso