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168 grazia deledda


si spostavano come l’ombra delle nuvole al passare del treno: e Cosima aveva l’impressione che tutto il paesaggio si movesse per la sorpresa di veder lei a muoversi, ad andare verso una nuova vita.

A misura che si scendeva verso le pianure marine il clima mutava completamente: si era ancora ai primi di autunno, laggiù; il cielo, sgombro di nuvole, si faceva chiaro, verdognolo, e d’un tratto Cosima lo vide riflesso in uno specchio d’acqua che le ricordò la vasca della vigna: era uno stagno. Uccelli mai veduti, grandi, con le ali iridate, si sollevarono dallo stagno, come sgorgassero dall’acqua, e disegnarono sul cielo una specie di arcobaleno: forse un miraggio: a lei parve lieto auspicio.

E la prima persona che vide, quando il treno si fermò in una stazione che pareva, col suo giardino di palme e in fondo un arco di quel luminoso cielo smeraldino, un’oasi civilizzata, fu un giovine vestito di un color marrone dorato, con due meravigliosi baffi dello stesso colore e gli occhi lunghi orientali. La guardò come se la conoscesse, e anche a lei parve di averlo già veduto in qualche posto: dove? non sapeva; e dopo tanti anni provò ancora quel misterioso senso di vertigine che nell’infanzia e meno spesso nell’adolescenza le destava la presenza della nonna. Ma una piccola folla invadeva il marciapiede, e l’uomo scomparve. Una signora