cendava a preparare la bevanda prediletta dalla cara vecchina, ma l’acqua bollente rigurgitava dalla cuccuma e spegneva il fuoco. «Lascia, bambina» diceva la nonna, con le manine intrecciate sul grembo, i grandi occhi color nocciola e la piccola bocca circondati da raggiere di rughe; «oramai non ho più bisogno di nulla».
E d’un tratto, voltandosi, Cosima vide che la nonnina era vestita da sposa con un costume di orbace, scarlatto e broccato: il grembiale era ricamato a vivi colori, sulle punte davanti del corsetto verdeggiavano due foglie di palma. La benda che avvolgeva la piccola testa, bianca e un po’ inamidata, pareva di antico bisso. «Come sei bella, nonnina; adesso, sì, sembri davvero una fata.» Ma perché la vecchina era vestita così? «Ho ritrovato il nonno Andrea, e adesso siamo contenti, in Paradiso, sposi in eterno.» Il nonno Andrea, Cosima non lo aveva conosciuto, ma sapeva che anche lui era un giorno arrivato di lontano, chi diceva da Genova, chi diceva dalla Spagna, e s’era messo a lavorare la terra; e, anche dopo sposato, stava sempre in campagna, a lavorare i campi, in una valle aspra piena di macchie e di bestie selvatiche. Anche lui era selvatico, ma tanto buono che gli uccelli gli si posavano sul braccio, le serpi accorrevano al suo fischiare, quando alla sera si riposava davanti alla sua capanna e guardava le stelle. Anche i gatti selvatici gli facevano compagnia. La gente diceva che era un po’ matto;