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156 grazia deledda


ne di risvegliarsi da un sogno. La madre stese la camicia su una cordicella attaccata fra due pali, che appunto serviva al vecchio per asciugare i suoi stracci, poi rientrò nella casetta e cominciò a preparare le cose per la partenza. Cosima andò verso il pino e appoggiò la testa alle scaglie rossastre del tronco, come per ascoltare una voce nascosta dentro l’albero amico, che la consigliasse, la salvasse. Poiché le sembrava di essere coinvolta in un dramma colpevole, di essere complice di un furto, forse anche di un delitto. Che doveva fare? Accusare il vecchio? D’altra parte egli era da più di trent’anni in paese, e, se reato avesse commesso, esisteva la prescrizione. E delitto di sangue non doveva esservi, se la condanna di lui era stata solo quella del domicilio coatto. E non poteva aver rinvenuto senza colpa il tesoro? Giusto in quei giorni i giornali parlavano dei tesoro di oltre un milione, di monete d’oro, trovato in casa di un antiquario, e di un altro rinvenuto nello scaffale di un medico stravagante e solitario che aveva attirato gente da tutte le parti del mondo con un suo specifico che guariva i dolori reumatici. Durante l’infanzia, e anche dopo, dai servi, dai contadini, dai pastori, Cosima aveva continuamente assorbito racconti di tesori, trovati nelle rovine dei vecchi castelli, dentro tronchi d’alberi, in piena terra. Uno pare venisse fuori anche dal vecchio cimitero, dalla tomba scoperta di una giovine dama sepolta dal marito