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cosima | 155 |
rapace di Napoleone III, altre col grande gallo piumato della Repubblica francese: monete d’oro, schiette, moderne, da spendersi, se si voleva, senza difficoltà. Ma non le toccò e il solo pensiero che Elia avrebbe potuto offrirgliele, sia pure per generosità o affetto, le faceva spavento: poiché ricordava le voci misteriose che correvano sul conto di lui, ed era sicura che il tesoro provenisse da una rapina.
Ma egli richiuse il pugno, tornò a piegarsi sul vuoto del camino, rimise a posto ogni cosa, riaprì la finestrina, andò a sedersi sul giaciglio, piegò la testa pensieroso. La vespa da lui cacciata tornò a volteggiare e ronzare sullo sfondo d’acquamarina dei monti lontani. Tutto s’era svolto in pochi minuti, come in un passaggio di nuvole; e Cosima si avvicinava alla porticina per andarsene sicura in cuor suo di saper tutto e non volersi immischiare nella pericolosa faccenda, quando il vecchio la richiamò:
— Signorina, volevo dirle questo; quando sarò morto, o anche prima se le occorre, quella roba è sua.
Ella avrebbe voluto protestare, dirgli che non voleva una sola di quelle monete, gridargli che sarebbe stato meglio restituirle a chi erano appartenute; ma vedeva la madre che risaliva dall’orto con la camicia di Elia attorcigliata fra le mani ancora bagnate, e saltò nello spiazzo con l’impressio-