Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
150 | grazia deledda |
re: la battaglia doveva cessare. Solo il pino continuò in un suo lieve brontolio, quasi pensieroso. Cosima lo sentiva nel sonno lieve del mattino: e le pareva che il pino mormorasse: “Perché tutto questo? Si combatte, si soffre, ci si tormenta per nulla: la forza del vento è vana; tutto è vano e vuoto; eppure bisogna combattere perché così vuole Dio”.
Poi tacque anche l’albero; ma quando Cosima aprì la finestruola vide uno spettacolo indimenticabile: centinaia di uccelli svolazzavano sui rami battuti dal sole, e parevano d’oro e d’argento: ogni loro battere d’ali faceva cadere goccie simili a scintille: e ad ogni ago delle foglie era infilata una perla dai colori dell’iride. Pareva un albero magico, fatto di uccelli, di rubini, smeraldi e diamanti.
E fu certo una giornata di miracolo quella. Tutto sembrava trasformato; tutto, nell’orto, nella vigna sebbene spoglia, nella brughiera riarsa, tutto riluceva e sorrideva. Dio era passato con un corteo di tuoni e fulmini, ma trovando gli uomini di buona volontà si placava e ritornava paterno.
Andrea ripartì la mattina presto, con la promessa di tornare nel pomeriggio e passare la notte nella casetta, per sorvegliare il malato, mentre la madre e Cosima col servo sarebbero tornati in città. Cosima portò il caffè ad Elia, che si mise a sedere sul giaciglio, e prese la tazza con le mani tremanti.