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nette e scempiaggini che non interessavano Cosima.

Solo le mani di Elia avevano, a osservarle quando egli non se ne accorgeva, una strana sensibilità: mani scure e nodose, con le falangi coperte di peli, ma piccole, per un uomo così alto e lavoratore, a volte adunche come artigli, a volte aperte e quasi molli, come snodate. Con quelle mani egli era capace ancora di fare qualsiasi lavoro che gli venisse richiesto o che gli fosse necessario. Infatti si cuciva da sé le vesti, lavava, si faceva le scarpe, gli occhiali, gli arnesi di lavoro, preparava la conserva dei pomidori e seccava i fichi, fabbricava, con una certa creta da lui scovata fra i giunchi, vasi e pentole: e lavorava anche da stagnaio e da falegname. La sua stanzetta sembrava un museo archeologico, con una raccolta persino di pietre cercate nella brughiera, che sembravano tartarughe, conchiglie, ossa fossilizzate.

E stava zitto, rispondendo solo sì e no alle domande della padrona, che anche lei, del resto, cavava fuori le parole con diffidenza sospettosa, come gemme da uno scrigno.

Or dunque, quale non fu la meraviglia di Cosima, quando la sera del terzo giorno, ritornando dalla solita passeggiata, sentì che i due taciturni parlavano fra di loro. Stavano nella prima delle stanzette, e la madre cucinava qualche cosa nel camino. La porta era aperta, ed essi non si accorsero della presenza di Cosima, che, ferma fuori, ascol-