Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/181


cosima 139


Dio per la gioia del cuore che è vicino a lui come il cuore del bambino a quello della madre: ed ella ne ebbe quasi la prima rivelazione, e si sentì uno scalino ancora più in alto, nella scala di Giacobbe che doveva essere la sua vita. Così, per nulla: solo perché vedeva la stella della sera brillare sopra i monti non meno e non più meravigliosa della coccinella, e le erbe selvatiche odoravano al suo passaggio. Decise di non aspettare più nulla che le arrivasse dall’esterno, dal mondo agitato degli uomini; ma tutto da sé stessa, dal mistero della sua vita interiore.

Così, ebbe fine l’attesa delle notizie dell’esploratore: e anche lui, del resto, non scrisse più.


Eppure un fatto che aveva dell’inverosimile, le avvenne: un fatto che superò tutte le altre vicende accadute fino a quel tempo, che a lei parevano, ma forse non erano, straordinarie. Erano passati tre giorni da che si trovavano nella vigna, tutti e tre eguali, limpidi, sereni. Ella s’era rimessa a scrivere, sul tavolinetto della camera da letto, davanti alla piccola finestra nel cui vano ronzavano le vespe senza però venire dentro. Inutile, fino a quel momento, intervistare Elia: pareva un uomo meccanico, Elia: si piegava, si sollevava, lavorando, senza muovere un muscolo del viso. E lingua in bocca, – come diceva il servo che chiacchierava per tutti e due, ma per dir frasi, proverbi, canzo-