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cosima 133


stagno rimboccati sulle caviglie rosse, e altrettanto le maniche sulle braccia che, se egli stringeva i grossi pugni, sembravano clave. Tutto il suo aspetto era, più che di contadino, di vecchio marinaio, di «lupo di mare», per il viso arso, di terracotta, i capelli irsuti di colore del sale, e come scarmigliati dal vento: ma specialmente per gli occhi piccoli, stretti, dei quali si vedeva quasi solo la pupilla verdognola.

Quando arrivarono le padrone egli aiutava il servo a scaricare la roba dal carro, e non rispondeva alle domande e agli scherzi dell’altro: pareva sordo, anzi anche muto, perché salutò solo con un cenno del capo, e non aprì la lunga bocca rientrante, quasi invisibile.

In cambio parlava molto il servo, un giovinotto bruno tutto occhi e denti, che ogni tanto si aggiustava la cintura e rideva per nulla: la sua presenza metteva allegria, e quasi egli piaceva alla signorina: lo trovava per lo meno della sua razza, uno schietto contadino, figlio della stessa terra, mentre il colono, — già per il nome stesso, che gli era stato consacrato dal vecchio padrone, — rappresentava uno straniero, un lavoratore di terre lontane, d’origine ignota se non quasi misteriosa. Infatti nessuno aveva mai saputo la sua provenienza, anche perché nessuno, dopo il tempo in cui, finita la sorveglianza della polizia, era stato assunto in servizio dal signor Antonio e confinato lì nella