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128 | grazia deledda |
Ah, sì, Cosima adesso risponde, con lettera raccomandata, e non si proibisce di abbandonarsi con la fantasia, come un angelo viaggiante, al seguito dell’avventuroso suo cavaliere. Le pare di vivere al tempo delle Crociate: egli va, col nome di lei nel cuore, a combattere contro i pagani, i pellirosse, i serpenti, le foreste vergini, le erbe che uccidono.
Furono i giorni più belli della vita di Cosima, più belli ancora di quelli passati sul Monte, a respirare l’aria che respirava Antonino. Era il sogno vivo, adesso, l’avventura epica, alla quale ella prendeva parte cavalcando sulle nuvole rosse dell’orizzonte, sui glauchi mari delle sere di luna.
Tutto le sembrava grande e luminoso. Nella casa di faccia alla sua, essendo morto il nero canonico medioevale e sposata a un vecchio cugino la nipote, era venuto ad abitare un ricco attempato, ma ancora sanguigno e forte negoziante di scorze d’albero e di sugheri. Era anche un cacciatore famoso e ogni tanto radunava gli amici per una partita di caccia grossa. Scalpitavano i cavalli, nella strada stupita da tanta animazione quasi guerresca, e i cavalieri, armati di tutto punto, alcuni smilzi e dritti in sella, altri, già anziani, barbuti, grassi e un po’ cascanti, ma col viso duro e deciso come di vetusti razziatori abituati a far preda, aspettavano che il gruppo fosse al completo, mentre i cani s’incontravano e facevano, fra le zampe dei cavalli, una schermaglia rintronante di guaiti e latrati;