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schi: e dopo una lunga ambigua corrispondenza, egli un giorno le mandò, una lettera strana, dove, fra le altre cose spiacevoli, le diceva che ella gli era sembrata quasi una nana.

Pertanto le esperienze di Cosima continuavano. Vi furono giorni di nuovo fulgore. Arrivarono contemporaneamente due lettere: e una veniva di molto lontano, dal castello di un principe tedesco, col sigillo d’argento e su impressa appunto una corona di principe. Forse era il suo segretario, che aveva letto il romanzo di Cosima e le scriveva ancora turbato, dicendole chiaramente, in ultimo «fi amo, signorina, fi amo». Lo credette il segretario, poiché il nome era comune, e Cosima era corazzata di inguaribile diffidenza: ma perché non poteva esser lui, il principe? Ella rispose, ringraziando; ma poi, immaginandoselo anche lui biondo e alto e con gli occhi felini come il crudele giornalista, e per di più principe o granduca, non mandò la lettera.

All’altra invece rispose. Ed era anche questa di un principe di diversa specie; era di un giovine di ventidue anni, che doveva essere molto ricco perché le scriveva che stava per partire, con mezzi suoi, per una spedizione nell’America ancora inesplorata; e le chiedeva il permesso di mettere il suo nome alla regione che egli avrebbe attraversata per il primo: e le dava l’indirizzo della estrema città dell’America del Sud ove si sarebbe fermato per formare la carovana.