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124 grazia deledda


non frodare più la cantina, e comprarsi un bel vestito di setina nera a puntini d’oro e un boa di piume di struzzo nere e bianche che ha del serpente e dell’uccello.

Quando apparve, con le sorelle alle quali aveva regalato per confortarle eleganti sciarpe di velo, alla Messa celebrata dal Vescovo, in una brillante mattina di autunno, una schiera di giovanotti, i più intellettuali e spregiudicati del luogo, che andavano in chiesa solo per sbirciare le donne, si allineò fra una navata e l’altra della bella Cattedrale, e i loro occhi la serrarono in un nutrito fuoco di fila. Anche le donne la guardavano, alle spalle, affascinate, più che altro, dal suo vestito e dal suo boa dai colori di notte stellata, piegata sul suo libro di preghiere. Ella volava: le pareva di essere una rondine; sentiva voglia di piangere; era un rigurgito di gioia, di trionfo, ma anche di dolore profondo; e se sollevava gli occhi umidi e vedeva i finestroni alti sotto la volta della chiesa, azzurri di miraggi quasi marini, pensava allo sfondo della finestra del frantoio e alle povere donne unte di olio nuovo che le raccontavano le loro pene. Allora una lieve vertigine le saliva dalle radici dell’anima, come quando bambina l’immagine della nonna le rimescolava nel subcosciente un mondo atavico avventuroso e fiabesco. La cerimonia e la musica accrescevano l’incanto. Il Vescovo era alto, aristocratico; ricordava i prelati pittoreschi dei