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pensava che solo la pietà può sollevare l’anima piegata dal male degli altri, e portarla sulle sue ali fino alle altissime soglie di un mondo ove un giorno tutti saremo eguali nella gioia di Dio.

Fra un segno e l’altro del registro i clienti del frantoio le raccontavano i loro guai, i loro drammi: qualcuno la pregava di scrivergli una lettera o una supplica: così le venne lo spunto per un nuovo romanzo; attinto dal vero: attinto come la pasta nera delle olive dalla vasca del frantoio, che si mutava in olio, in balsamo, in luce: e mise un titolo grigio, che sotto però nascondeva anch’esso il seme del fuoco: lo intitolò Rami caduti.4


Questa volta la fortuna le arrise compiuta. Ella tentò presso un editore di una certa notorietà, che non solo accettò e pubblicò il romanzo, ma lo fece accompagnare dalla prefazione di uno scrittore illustre: ed ecco d’un tratto la figura di Cosima balzò sull’orizzonte letterario, circonfusa d’un’aureola quasi di mistero. Mistero creato dalla lontananza di lei e della sua terra, dalle vaghe notizie sulla sua vita quasi selvatica, ma sopra tutto dalla forza ingenua e nello stesso tempo vigorosa del suo racconto, dalla sua prosa scorretta e primitiva eppure efficace, e dall’evidenza dei suoi personaggi.

D’un colpo ella diventa celebre: giornali e riviste le domandano novelle: e l’editore manda denari. Non molti, ma tanti quanti a lei bastano per