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tica e già, per tante prove crudeli, conosce la vita; ma la monotonia dei giorni senza speranza di notevole mutamento le gravava intorno come una ingiusta condanna, – antica condanna delle donne della sua stirpe, – e lei ardeva tutta di desideri di volo, di più vasti orizzonti, di vita movimentata. Così diede ascolto alla voce lusingatrice, sebbene Fortunio le destasse diffidenza e quasi disprezzo.

Un giorno, in maggio, quando le prime ebbrezze della sua avventura letteraria erano dileguate, per lasciar posto, in lei, ad uno scoraggiamento pesante, per colmo di disdetta, le arriva una lunga critica, manoscritta, della sua povera ma sincera fatica: il romanzo, la novella, persino un timido racconto per bambini pubblicato in una rivistina per ragazzi, tutto è stroncato, e non con debole malizia, ma a vigorosi colpi di accetta: tutto, con logica, con coscienza: tutto ridotto a scheggie, buone, – conclude il critico, – per accendere il fuoco del forno ove la madre di Cosima cuoce il pane. Torni, torni, la piccola grafomane, nel limite dell’orticello paterno, a coltivare i garofani e la madreselva; torni a fare la calza, a crescere, ad aspettare un buon marito, a prepararsi ad un avvenire sano di affetti famigliari e di maternità.

Cosima piange; di rabbia, di umiliazione: piange, ma in fondo si sente tutta scossa, ha coscienza di aver sbagliato strada, decide di ritornare davvero al chiuso esilio del suo vero destino. Strap-