raggiò la propria vanità col credere che la musica fosse migliore; per conto suo non conosceva una nota, e di musica aveva finora sentito quella della chitarra e della fisarmonica e quella dell’organo della cattedrale: ma quello che più la lusingava e la cullava in una risonanza immaginaria, era il fatto che l’omaggio veniva da un giovane, forse un ragazzo, un ragazzo che se sapeva comporre musica, oltre a poesia, doveva essere di condizione civile, di gente educata; forse era un Antonino ancora acerbo, forse anzi in via d’evoluzione più raffinata di quella dell’esteta locale; e aveva su di questi il vantaggio di essere meno indifferente, e di pensare dunque a lei, di essere all’altra riva del solitario oceano di sogni dov’ella viveva. Fu il suo primo amore lontano, tutto suo, poiché dell’ignoto musicista non seppe mai l’indirizzo, neppure il nome, – e se ne sapeva l’età e il sesso era perché i versi li svelavano: – ed egli non scrisse, non parlò, non cantò più. Fu come un grido d’uccello nella notte, un richiamo passeggero di usignuolo, illuso anche lui dal chiarore delle lontananze; la serenata di un fantasma di trovatore sceso dalla foresta lunare delle pagine di un libro romantico. Questo fatto cominciò a staccarla da Antonino, tanto più che egli non diede il minimo segno di essersi accorto di quello che per lei, certo, era un avvenimento straordinario. Un filo di dispetto si intrecciò al ricordo di lui, anzi fu come una trama che si rompe, in un tessuto prezioso,