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102 | grazia deledda |
fortuna Cosima ricordò che un suo cugino in terzo grado aveva una bottega di barbiere e spacciava giornali e riviste. Era un intellettuale anche lui, a modo suo, perché mandava la corrispondenza locale al giornale del capoluogo: e la proposta di Cosima, di spacciare qualche copia del romanzo, fu da lui accolta con disinteresse assoluto.
Ma per la scrittrice fu un disastro morale completo: non solo le zie inacidite, ma i ben pensanti del paese, e le donne che non sapevano leggere ma consideravano i romanzi come libri proibiti, tutti si rivoltarono contro la fanciulla: fu un rogo di malignità, di supposizioni scandalose, di profezie libertine: la voce del Battista che dalla prigione opaca della sua selvaggia castità urlava contro Erodiade era meno inesorabile.2
Lo stesso Andrea era scontento: non così aveva sognato la gloria della sorella: della sorella che si vedeva minacciata dal pericolo di non trovare marito.
Ma a consolare l’umiliazione sdegnosa di Cosima arrivarono le prime lettere delle sue ammiratrici, ed anche di qualche giovanissimo ammiratore, cosa che maggiormente la confortò. Uno le mandò, da Roma, — da Roma! — una piccola poesia d’amore, musicata, dedicata a lei. Ella aveva già un certo spirito critico per giudicare puerili e sgrammaticati i versi, — non più dei suoi, ma inco-