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sima si rivoltarono, sul principio, nel vedere che il giaciglio, in comune con la zia Paola, era steso per terra, fatto di uno strato di felci, di coperte, cuscini e grosse lenzuola; che gli armadii erano i piuoli e, per lavarsi, c’era in un angolo, su una panchina di pietra, accanto alla brocca per bere, un vaso di creta; e per ribellarsi, ma anche divertirsi, cominciarono a rotolarsi sul giaciglio, scovarono la parrucca dello zio Ignazio, che viveva nella stanzetta accanto, e ne fecero scempio. Ma poi uscirono nel bosco e si confortarono con lo sfarzo del meraviglioso luogo pieno di recessi, di divani coperti di musco, di quadri e broccati mai visti così belli, dei quali erano ricchi gli sfondi.

Solo Cosima non era disillusa: anzi l’interno dell’abitazione, col suo odore di umido e di felci, coi suoi arnesi trogloditici, con quella porticina coperta dalla tenda sul verdone del bosco, quei sedili di pietra grezza, quell’anfora di creta e i recipienti pastorali fatti di sughero e di corno, le diedero uno strano senso di ricordanze remote, come quello che provava da bambina incosciente nel veder apparire la piccola nonna materna, – la nonnina che partecipava della natura delle fate nane della tradizione locale, che abitavano nelle casette di granito in mezzo ai monti e sugli altipiani rocciosi: – e prima di raggiungere le sorelle si diede da fare per rendere più abitabile la primordiale dimora. Cominciò con l’appendere i pochi vestiti suoi e del-