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tivo ambiente, che aveva della capanna e della caverna, e riceveva luce solo dalla porticina aperta sul bosco, Cosima quell’anno, poiché la zia Paola l’aveva invitata con le sorelle a trascorrere con lei il tempo della novena, passò i giorni più belli della sua vita. Fu proprio un sogno, bello, completo, pieno di cose misteriose, come i veri sogni. Il viaggio, circa due ore di salita per un sentiero appena tracciato fra i dirupi, gli avvallamenti, il bosco, fu attraversato a piedi dalle ragazze pazzamente felici ed ebbre di quella meravigliosa mattina di agosto, mentre un carro tirato da buoi e carico di masserizie e provviste, le seguiva traballando sui sassi e gli sterpi. La prima sosta, breve, fatta non per stanchezza ma per divertimento, fu al cominciare del bosco fitto, sotto una strana pietra poggiata su altre e detta la tomba del gigante. Sembrava una grande bara, di granito, coperta da un drappo di musco, solenne nella vasta solitudine del luogo. Un tempo, diceva la leggenda, i giganti abitavano la montagna, e uno di essi, a turno, vigilava l’ingresso della foresta: l’ultimo, si stese per morire sulla pietra di confine, che si richiuse su di lui e ancora custodisce il suo corpo.

Era davvero, quello, l’ingresso al mondo degli eroi, dei forti, di quelli che non possono concepire pensieri meschini; e Cosima toccò il masso, come in altri luoghi, abbelliti di leggende sacre, si tocca la pietra dove si sia riposato qualche santo.