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80 grazia deledda


Questo sogno, da allora, non l’abbandonò mai più. Quando nelle sere d’inverno, accanto al braciere e alla luce di due lampadine ad olio (qualche volta ne accendeva anche tre), o nei mattini di primavera, nell’orticello fiorito di rose e ronzante di mosconi, e poi d’estate nella camera su in alto col paesaggio sonnolento dei monti alla finestra, poteva aver fra le mani una rivista illustrata, ne studiava a lungo le figure, specialmente le riproduzioni fotografiche di strade, monumenti, palazzi di grandi città. Roma era la sua mèta: lo sentiva. Non sapeva ancora come sarebbe riuscita ad andarci: non c’era nessuna speranza, nessuna probabilità: non l’illusione di un matrimonio che l’avrebbe condotta laggiù: eppure sentiva che ci sarebbe arrivata. Ma non era ambizione mondana, la sua, non pensava a Roma per i suoi splendori: era una specie di città santa, Gerusalemme dell’arte, il luogo dove si è più vicini a Dio, e alla gloria.3

Come giungessero fino a lei i giornali illustrati non si sa: forse era Santus, o lo stesso Andrea a procurarli: il fatto è che allora, nella capitale, dopo l’aristocratico editore Sommaruga, era venuto su, da operaio di tipografia, un editore popolare che fra molte pubblicazioni di cattivo gusto ne aveva buone, quasi fini, e sapeva divulgarle anche nei