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trovai ancora sull’erba ove mi ero addormentato fantasticando. Balzai in piedi un po’ intirizzito e cercai con gli occhi il mio cavallo, ma non lo vidi; tutto era silenzio intorno; solo si udiva il rumore lontano del torrente e la stella della sera brillava già sull’orizzonte come una scintilla dimenticata dal sole.

Corsi di qua e di là, balzai sulle roccie, m’inerpicai su per un sentieruolo. Si faceva buio. Finalmente scorsi il cavallo in una piccola radura chiusa da un gruppo di macigni simile ad un castello diroccato; mentre attraversavo quel labirinto di pietre vidi un vecchio seduto davanti a un fuoco acceso in una specie di focolare scavato nella roccia.

Il quadro era bello ed io mi fermai ad ammirarlo. La fiammata rossa e tremula pareva volesse volare intera, e non potendolo mandasse via frammenti che si perdevano nell’aria come piume d’oro.

E il vecchio vestito di nero e col cappuccio in testa, con una lunga barba grigia divisa in due punte, un rosario in mano, sembrava un eremita. Mi parve di riconoscerlo e lo salutai.

— Ziu Innassiu Arras! Siete voi?

Egli mi guardò con diffidenza e mi domandò se ero uno della polizia: quando sentì il mio nome scosse sdegnosamente il capo.

— Ah, tu sei Jorgj, il figlio di Remundu Nieddu? Siamo parenti, sebbene tu ti vergogni a dirlo.

— Perchè mi vergogno a dirlo?

— Perchè ascolti volentieri Remundu Corbu, quando egli dice che io sono un poltrone. Ah, tu vuoi sposare la sua nipotina? Fai bene, molto bene, perchè egli ha un «malune»1 pieno di monete, che il diavolo si porti via lui e il suo

  1. Vaso di sughero.