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verso l’inferriata d’una finestra, come una prigioniera. La mia matrigna origliava alla porta dei nostri vicini, dicendomi che fra Banna e il vecchio si discuteva continuamente: la donna voleva che la domanda di matrimonio venisse respinta con sdegno, mentre il vecchio faceva le mie lodi, ma con ironia, chiamandomi già il «notaio» oppure «su cusino mizadu» (il borghese con le calze).

La vecchia serva confabulava con la mia matrigna.

— Jorgeddu verrà accettato, — diceva con la sua voce ambigua. — Non dubitate, verrà accettato; all’avvenire il Signore penserà.

Ed io fui accolto ufficialmente in casa Corbu come promesso sposo di Columba. Ricominciarono i regali: ma adesso la vecchia veniva a nome del nonno, ed ogni volta io le davo una moneta d’argento, cosa che provocava i suoi ringraziamenti e le sue lodi enfatiche ma non valeva a rendermela veramente amica.

Essa vigilava sempre e non mi riusciva più di trovarmi solo con Columba. Ogni sera andavo a farle visita, ma mi trovavo sempre davanti al nonno la cui presenza mi dava un senso di soggezione e di freddo.

Fra me e lui qualcosa di fatale sorgeva; qualcosa che ci impediva scambievolmente di capirci e di amarci. Egli era intelligente e non si confondeva davanti a nessuno; fin da bambino io avevo ammirato la sua figura, il suo modo di parlare, la forza e l’astuzia che trasparivano dai suoi sguardi e dai suoi gesti, la sua volontà incrollabile di vivere a modo suo; volontà che egli non cercava di nascondere: adesso la mia ammirazione diminuiva di giorno in giorno, lasciando luogo a un vago senso di soggezione, a un senso di avversione e di antipatia. Sul principio cre-