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rossa, i ferri del cavallo che mi passava sopra mi percossero la testa come martelli.... Ma più che il dolore mi fece svenire il grido di terrore della folla.


VII.


Restai tre mesi a letto; e quella malattia che fu come un lungo sonno febbrile mutò completamente il mio carattere.

Divenni sensibile, nervoso; non amavo più girovagare per il paese, non chiacchieravo più con le donne, non litigavo più con la matrigna.

Tutto mi dava noia; ma mi rodevo entro di me senza potermi sfogare a parole quasi fossi diventato muto. Per sfuggire alle persecuzioni della matrigna me ne andavo fra i dirupi nei dintorni del paese nascondendomi fra le pietre e l’erba come una lucertola.

Ma un giorno mio padre ordinò alla matrigna di riempire di pane, di formaggio e di legumi una bisaccia, e tutti e due, lui in sella io in groppa, montammo a cavallo diretti a Nuoro.

Era di ottobre e tutta la valle ancora gialla di stoppie e di cespugli secchi sembrava qua e là tinta dal verde tenero dell’erba di autunno. Il cielo cosparso di nuvolette grigie immobili biancheggiava luminoso come uno specchio ove pareva si riflettessero le roccie del paesaggio; all’orizzonte i colori si facevano vividi illuminati da una luce lontana, e il Monte di Galtellì sullo sfondo d’oro del mare sorgeva simile ad un enorme scoglio azzurro coperto da un velo rosa.

Mentre mio padre mi raccontava le vicende dell’inimicizia del nostro paese la mia fantasia