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la mia matrigna mi inseguiva a cavallo minacciandomi. All’alba ero di nuovo in viaggio; per non sbagliare costeggiavo lo stradale che attraversa l’altipiano roccioso fra boschi di soveri e di quercie, ma di tanto in tanto mi fermavo per guardare attorno. Le pernici con le ali dorate dai primi raggi del sole svolazzavano d’albero in albero; montagne azzurre e rosee apparivano attraverso il bosco, all’orizzonte, e quelle d’Oliena biancheggiavano fantastiche come montagne di marmo.
Poi riprendevo la strada sempre con la speranza di trovare il cavallo al pascolo. Finalmente mi parve di vederne uno all’ombra sotto una specie di collinetta dominata da un «nuraghe»: ma avvicinandomi vidi che era una roccia!
Cominciavo a disperarmi quando incontrai un vecchio pastore di Nuoro che cavalcava verso la Serra.
— Zio, — gli dissi, — me lo fate correre alla festa, questo bel cavallo? Divideremo il premio.
Il vecchio, un uomo grasso e bonario dal viso rosso lucido, invece di stupirsi mi guardò con benevolenza facendomi qualche cenno amichevole con la testa.
— Di chi sei figlio? — gridò.
— Di babbo mio!
— Bè, senti, vieni martedì a casa mia. Mi chiamo Giuseppe Maria Conzu. Ti darò il cavallo; ma spero non scapperai con esso!
Giunto a Nuoro stanco ma beato, incontrai una mia compaesana che mi diede un pezzo di torrone. Con questo solo cibo rimasi fino all’indomani. Dormii all’aperto in compagnia dei fruttivendoli Baroniesi che avevano fermato i loro carri davanti al casotto del dazio, e il primo giorno della festa vagai a lungo tra la folla va-