Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/70


— 60 —

triarchi scosse dal vento. Io li seguivo. Una donna che tornava dalla fontana mi disse:

— Ohi, ohi, matrigna tua sembra una biscia calpestata: va, va, che t’aspetta!

— Che m’importa? Io andrò a correre i cavalli alla festa del Salvatore!

— Cuore di madre, — strillò la donna, — il sole ti ha sciolto il cervello!

Ma io non mi davo pensiero e correvo giù per i viottoli cantando. La gente rientrava a casa e solo qualche vecchia si attardava a filare seduta in qualche angolo ombroso.

Nonostante i minacciosi pronostici della donna mi affrettavo a rientrare: l’odore di carne di capra arrostita allo spiedo che usciva da molte casupole stuzzicava il mio appetito: appena fui qui dentro vidi appunto un pezzo di carne infilato in uno spiedo, e siccome la mia matrigna era andata su a prendere il pane mi curvai sul focolare come una volpe affamata e coi dentini cominciai a strappare qualche pezzetto di arrosto....

Ero un monellaccio, non lo nego, ma nessuno badava a me se non per maltrattarmi. Mi par di rivedermi ancora fanciullo in questa tana che non era squallida come lo è adesso; mi aggiravo sempre in cerca di qualche cosa, sollevando con la testa il coperchio della cassa, arrampicandomi sugli sgabelli per guardare cosa c’era nell’armadio; e rivedo nel vano della porta la tragica figura della mia matrigna, gialla e nera in viso come nei vestiti, con un canestro di pane sul capo e le mani che minacciano.... Ma io non avevo paura di lei; la fissavo in viso deridendola e sfidandola.

— Tu ritorni sempre all’ora del pasto come le lepri alla vigna, — mi diceva, — poltrone, malandato, buono a niente....