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mani mi scado una cambiale e se chi mi deve non mi paga sarò costretto a vendere il mio cavallo. Il mio cavallo! Lo stesso che l’anno scorso mi ha fatto vincere il premio di dodici scudi e due palmi di broccato alle corse per le feste del Salvatore. E perchè me li fate perdere quest’anno, questi dodici scudi, veri come i dodici apostoli? Solo il mio cavallo può vincer la corsa, che i vermi vi rodan le orecchie.
E mio padre urlava:
— Pagherò! Non s’è mai sentito dire che Remundu Nieddu sia un mal pagatore: ho vacche, ho capre, ho intenzione di far di mio figlio un notaio.
Ma il contadino insisteva, ripetendo la storia del suo cavallo fino a suggestionarmi. Dopo che egli e mio padre si misero d’accordo e se ne andarono insieme alla bettola, io rimasi sulla piazza sognando. Mi pareva di vedere nello stradone di Nuoro la corsa dei barberi. Cavalli neri e bianchi, puledri bai e cavalle pezzate correvano giù, fra la polvere dorata dal sole; correvano così rapidi che si distingueva appena il loro colore: e i fantini, tutti ragazzetti come me, piegati sul collo delle bestie, scalzi, a testa nuda, cavalcavano senza sella fermi e sicuri come piccoli centauri. La gente guardava dai dirupi e dagli orti, e un grido solo si levava da tutta quella folla in attesa. Anch’io sentivo il mio cuoricino battere perchè mi pareva di prender parte alla corsa; arrivavo il primo e il grido della folla e i dodici scudi eran tutti per me.
Mi scossi quando la campana rauca di Santu Jorgi annunziò il mezzogiorno. Anche i vecchi seduti a gambe in croce sopra le panchine appoggiavano il bastone al suolo per alzarsi e andarsene; uno dopo l’altro scendevano la scalinata lenti e solenni con le lunghe barbe di pa-