Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 57 — |
cataste di pernici, «laccheddas»1 di anguille passavano davanti al vescovo che beveva solo un po’ d’acqua e masticava un cardo selvatico.
Discorsi, canti e brindisi seguirono. Io, il vecchio nonno e la futura matrigna tornammo in paese prima del tramonto, ma la festa durò tre giorni, dopo i quali parecchi latitanti tornarono ai boschi, altri si costituirono, altri furono rilasciati in libertà provvisoria.
La notte del terzo giorno qualcuno entrò nella chiesetta, spezzò la lapide e lasciò alcune monete per il rifacimento dei danni. Tutti dissero che era stato l’Arras.
Non accaddero più fatti di sangue, i matrimoni furono celebrati e le parti nemiche tornarono a scambiarsi il saluto, ad aver relazioni e a concludere affari: ma l’avversione segreta, tra famiglia e famiglia, tra individuo e individuo, dopo quindici anni dal giorno delle paci rimane ancora.
Zio Remundu Corbu, costituitosi, fu assolto: altri furono condannati, altri morirono. Rimane ancora zio Arras: egli è da trent’anni bandito e fra poco ha diritto a ritornare libero, assolto da quell’unico giudice incorruttibile che è il tempo.
VI.
Mio padre sposò la vedova pochi giorni dopo le paci. Era un uomo piuttosto mite e taciturno, incapace di far male a una mosca, ma guai se l’offendevano senza ragione o se gli prendevano la sua roba. Allora domandava giustizia e se non la otteneva se la faceva da sè.
- ↑ Vassoi di legno.