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come serpi nei loro giacigli imprecando contro il nemico e aspettando da un momento all’altro la notizia di una tragedia; finalmente le fanciulle potranno sorridere al loro vicino di casa e scegliere fra tanti giovani il più bello senza pensare: «quello è il nemico che bisogna odiare e non amare».

Alcune coppie che s’amavano in segreto come ai tempi eroici di Giulietta passarono sorridendo davanti al Cristo; un prete lesse le pubblicazioni di molti matrimoni fra nemici, compreso quello di mio padre con la vedova.

Fu un giorno di festa, di vera pace. La primavera calma e quasi austera dell’altipiano e quel grandioso paesaggio chiuso dal mare erano degno sfondo al quadro popolato di tipi bellissimi, dal vescovo decorativo seduto ai piedi di una quercia come un sacerdote druidico, ai vecchi pastori che neppure per mangiare si levavano il cappuccio dalla testa; dal prefetto pallido e sarcastico vestito da cacciatore, al segretario del comune che per l’occasione s’era comprato un abito da società e un cappello duro.

Le donne e gli uomini giovani ballavano davanti alla chiesetta; serii e quasi tragici pareva compiessero ancora un rito religioso. Io rimasi tutto il giorno attaccato alle gonne della vedova. Seduta per terra all’ombra d’un albero ella fissava coi piccoli occhi scintillanti i vari gruppi e brontolava parlando male di tutti.

Mio padre venne per condurmi al banchetto: mucchi di pane, di formaggelle, di focacce, di frutta secche, sopra i sacchi e le bisacce che servivan da tovaglie attiravano i miei sguardi. Mi pareva di sognare, di assistere ad un banchetto come quello delle fiabe: c’era di tutto e il vino scorreva dalle botti come l’acqua dalle fontane; il latte si mischiava col miele, interi cinghiali,